L’entrata in vigore del contraddittorio preventivo per i Comuni a partire dal 18 gennaio 2024, come riportato dal Sole 24Ore dell’11 marzo, aggiunge un’altra sfumatura di incertezza al panorama normativo. Adesso, si aggiunge l’interrogativo sulla proroga dei termini decadenziali di notifica degli atti di accertamento, legato alla sospensione per Covid-19 stabilita dall’articolo 67 del Dl 18/2020.

La recente rettifica pubblicata da Ifel riguarda la tabella dei termini di decadenza degli atti di accertamento, evidenziando che quest’anno il termine scade il 25 marzo, essendo il 2024 un anno bisestile. Questa proroga di 85 giorni si applica non solo alle annualità in decadenza nel 2020, ma a tutti gli anni “accertabili” nel 2020, estendendo i termini anche agli omessi versamenti del 2018 e alle infedeli/omesse denunce del 2017.

Il dibattito sulla proroga si intensifica con la giurisprudenza di merito che si divide tra pronunce che la negano e altre che la confermano. Tra i sostenitori della proroga, la Cgt di Modena, sentenza n. 22/2023, argomenta che tutti i termini di decadenza pendenti all’8 marzo 2020 sono prorogati di 85 giorni, con conseguente allungamento dei termini di notifica.

Tuttavia, la chiarezza delle norme di riferimento, in particolare l’articolo 67 del Dl 18/2020 che rinvia all’articolo 12 del Dlgs 159/2015, sembra suggerire che la sospensione riguardi tutti i termini di “prescrizione e decadenza” pendenti nel periodo di sospensione, senza limitazioni temporali, compresi quindi tutti i termini relativi agli anni accertabili. Una lettura diversa potrebbe portare a una contrazione ingiustificata dei termini a disposizione dell’ente impositore per la notifica dei propri atti di accertamento, creando disparità di trattamento tra Fisco e contribuente.

In conclusione, l’incertezza continua a circondare le implicazioni della sospensione Covid-19 sui termini di accertamento, con la giurisprudenza che cerca di delineare i confini e le conseguenze di questa proroga.