Il nuovo Testo Unico sull’IVA non risolve le questioni originali della normativa

20 Marzo 2024

Il compito arduo compiuto dall’Agenzia delle Entrate, di condensare in una decina di testi unici l’abbondante normativa emersa nei cinquant’anni successivi alla precedente delega, e di sottoporre tali disposizioni a consultazione per i prossimi mesi, richiede una riflessione immediata riguardo alla proposta di un testo unico sull’IVA.

Le attuali disposizioni del Dpr 633 risalgono ai decreti delegati del 1972, che racchiudevano in un’unica norma sia le regole sostanziali che quelle relative agli adempimenti. Tuttavia, la legge IVA conteneva anche disposizioni sulle sanzioni, sia civili che penali, che ora sono state separate da questo contesto da tempo.

Un aspetto rimasto ancora inappropriato riguarda le regole per l’attività di accertamento, in particolare i controlli. Le stesse espressioni si trovano sia negli articoli 51 e 52 della legge IVA che negli articoli 32 e 33 del Dpr 600 dell’anno successivo, che si occupa solo dell’accertamento delle imposte sui redditi. Questo crea confusione per gli organi di controllo, che devono fare riferimento a entrambe le serie di articoli quando si presentano al contribuente. Questa situazione è stata oggetto di discussione per molti anni, con l’idea che l’unificazione degli uffici nell’Agenzia delle Entrate avrebbe permesso un’unificazione normativa.

Analizziamo ora le norme sostanziali contenute nella legge IVA. Gli articoli da 1 a 20, che fanno parte del titolo I sulle disposizioni generali, sono sicuramente inclusi. Anche nel titolo II – obblighi dei contribuenti – troviamo norme sostanziali, come l’articolo 34 sul regime agricolo, e nel titolo VI – disposizioni varie – sono previsti regimi speciali, come quello dei tour operator o del commercio dei materiali di recupero.

Dobbiamo ora esaminare l’attuale articolo 26 della legge IVA. La sua collocazione tra gli adempimenti è impropria, come indica già la rubrica: “Variazione dell’imponibile o dell’imposta”. Questa disposizione affronta anche la rettifica della detrazione per il destinatario di una variazione da parte del soggetto che ha emesso la fattura originaria.

Nella direttiva 2006/112/CE, la variazione è disciplinata dall’articolo 90 (Base imponibile), con la rettifica della detrazione dall’articolo 185 (Rettifica delle detrazioni). La norma dovrebbe essere suddivisa tra le posizioni dei due soggetti d’imposta, con un articolo dedicato alla base imponibile per il cedente o prestatore e un altro per la rettifica della detrazione per il cessionario o committente.

È quindi fondamentale riposizionare questa disposizione dal testo unico sugli adempimenti e l’accertamento per garantirne l’esatta collocazione tra le norme sostanziali.

Va notato che questa disposizione è la più incoerente dell’intero Dpr 633: continua a utilizzare il termine “detrazione” per indicare una variazione in diminuzione, termine introdotto nel 1972 quando non esistevano calcolatrici elettroniche economiche e la norma obbligava addirittura a annotare le variazioni nel registro degli acquisti. Tuttavia, già dalla prima dichiarazione annuale, relativa al 1973, le istruzioni prescrivevano correttamente di escludere questo dato dall’imponibile e dall’imposta detraibile (l’attuale quadro VF) e di eliminarlo anche dai corrispettivi delle fatture (l’attuale quadro VE).

La bozza attuale del testo unico dovrà ricollocare questa disposizione, anche se non sarà in grado di correggere questa qualificazione inaccettabile. Tuttavia, il problema persiste anche nel recente decreto delegato sulle sanzioni, approvato di recente dal Consiglio dei ministri, che utilizza il termine “detrazione” per indicare l’imposta versata in eccesso, creando così confusione. Questo termine deve essere usato in modo coerente per evitare problemi interpretativi.

FONTE: Il Sole 24ORE

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