Ricerca e sviluppo, fa ancora discutere l’applicazione del manuale di Frascati
Per beneficiare del credito d’imposta per ricerca e sviluppo (previsto dall’articolo 3 della legge n. 145/2013), non è necessario che l’attività svolta dall’impresa porti necessariamente alla creazione di nuovi prodotti o processi produttivi “assolutamente innovativi”. Il credito può essere applicato anche a software o processi già esistenti. Il dibattito sui requisiti per un corretto utilizzo del credito d’imposta prosegue, e in questo caso la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Alessandria (presidente e relatore Marozzo), con la sentenza n. 193/02/2024, si è espressa a favore della società ricorrente.
La decisione include lunghi estratti di una perizia di parte, che evidenzia, tra l’altro, le differenze tra le versioni 2002 e 2015 del cosiddetto “manuale di Frascati”.
Questa sentenza riporta l’attenzione sulla legittimità dell’uso del manuale di Frascati come strumento per negare il credito d’imposta, legittimità confermata dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy nelle linee guida per i certificatori pubblicate nel luglio scorso. Secondo il ministero, il manuale è applicabile con efficacia retroattiva anche alle attività del periodo 2015-2019.
Il ministero giustifica questa retroattività sostenendo che le definizioni delle attività ammissibili al credito d’imposta sono riprese da normative comunitarie (Comunicazioni della Commissione europea del 30 dicembre 2006 n. 323 e del 27 giugno 2014 n. 1).
Tuttavia, queste comunicazioni sono atti atipici e non vincolanti, capaci, secondo la dottrina prevalente, solo di produrre un effetto di conformità per l’istituzione emanante, senza essere direttamente opponibili ai singoli contribuenti. Inoltre, il manuale di Frascati non ha valore di trattato internazionale e non può essere utilizzato come strumento interpretativo ai sensi della Convenzione di Vienna. Va anche ricordato che, per molti anni, né le normative né la prassi relative al credito d’imposta hanno menzionato il manuale, che non aveva una traduzione ufficiale in italiano durante i primi anni di applicazione.
Quando un contribuente contesta l’utilizzo del manuale, spetta all’Agenzia delle Entrate dimostrare perché e in che misura questo documento scientifico può essere validamente utilizzato per sostenere un atto di recupero. In molti giudizi di merito, questa questione è stata fortemente dibattuta, come evidenziato dalle sentenze Cgt Palermo n. 1686/06/023, Cgt Macerata n. 270/01/2023, Ctp Roma n. 5918/22/2022, Ctp Bologna n. 549/04/2022 e Ctp Aosta n. 46/01/2021 e n. 12/01/2022.
FONTE: Il Sole 24ORE